Manuale di lingua e mitologia urbana

Gay

di Matteo '82 da Venezia
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PICCOLI FROCI CRESCONO


Appunti di una storia autobiografica.


Ognuno vive la scoperta di sè in modi differenti; ma, in fondo, le storie sono sempre uguali, e si ripetono per ciascuno di noi. Cambiano i nomi, i luoghi, i tempi; cambia a volte la percezione che si hanno delle cose; ma le fasi attraverso cui dobbiamo passare sono generalmente le stesse. Rileggerle ci fa ricordare cose belle, cose brutte, emozioni, dolori, gioie. Rileggerle ci fa capire che siamo tutti sulla stessa barca. Qualcuno ha provato a raccontare di sè in modo leggero, cercando di sdrammatizzare il più possibile.


In seconda media, una sera, senza segnali di preavviso, riunii anni di pensieri, turbamenti, dubbi, sensazioni e sospetti in una convinzione certa. Scoprii, insomma, che sono omosessuale. Fu uno shock. Avevo trovato all’improvviso la chiave che mi forniva le spiegazioni che andavo cercando da un po’. Cominciai a capire molte cose di me, dall’attrazione per alcuni amichetti di infanzia ai comportamenti innati di cui non mi davo ragione. Dovetti ammettere che facevo parte del gruppo di quelli al di là, che ero nella minoranza, che se ero sfigato prima, figuriamoci ora. Facevo parte dei culattoni, termine che non capivo poi così bene, ma che avevo sempre usato con senso dispregiativo, come avrei detto deficiente o stupido. Frocio, mi dicevo. Ma di tutte le disgrazie, non ce n’era un’altra?


Cominciai a capire il significato degli inevitabili insulti sessuali. C’erano stati anche prima; solo che adesso sapevo cosa significavano. Odiavo certe parole, perché capivo quanto potevano fare male. Il peso che mi portavo dentro diventava sempre più consistente. Non ero ancora stanco, perché in fondo c’era un mondo, che io non conoscevo, ma che sospettavo dovesse esserci. Passavo molto tempo a ricercare quello che mi interessava, senza sapere bene come fare e con il terrore continuo di essere scoperto. Un etero non ha idea di che cosa passino la stragrande maggioranza dei gay adolescenti. Aggiungete alle tempeste ormonali, ai brufoli, al corpo che cambia, alle voglie che nascono, ai desideri, ai sogni, alle fantasie, alle scoperte, tutto un senso terribile di colpa e di segreto, e l’impossibilità di parlarne con qualcuno e di essere capiti. Aggiungete anche le bugie, le mezze verità, il far finta di essere normale per poter in qualche modo, disperatamente, prendere tempo. Si vive male gran parte di quello che avviene; e molti non ne escono più, e diventano eterni adolescenti.


La scelta delle superiori fu l’equivalente del marchio nero per i Mangiamorte di Harry Potter: e così, nel settembre dei miei quattordici anni, mi ritrovai al liceo Classico. Un teorema matematico può rendere idea con discreta precisione del fenomeno che aleggia su questa scuola: il 50 % dei froci ha fatto il liceo classico e il 50 % dei maschi che frequentano il liceo classico è frocio. Non ci si scappa, è pura legge empirica. Forse sarà perché i giovani gay sono sempre così buoni e timorosi, e non possono fare altro che mettersi a studiare: non hanno motorini né ragazzine per la testa, e se si interessano al calcio è solo perché hanno puntato qualche calciatore. Non ci resta che studiare, insomma. Esistono anche altri due teoremi empirici. Il primo riguarda il rapporto genitore/figlio: due terzi dei gay è figlio di un insegnante, di solito di una maestra. Il secondo invece è legato al nome: la Top Four dei nomi gay è Matteo, Andrea, Alessandro, Marco, i quali occupano a pari merito il primo posto. Ora, io mi chiamo Matteo, ho una maturità classica alle spalle e entrambi i miei genitori sono insegnanti (com’è ovvio, mia mamma è maestra): se fossi stato etero sarebbe stato un vero miracolo alla Dickens.


Durante gli anni dell’adolescenza gli innamoramenti, finti, semi finti e reali, si susseguirono. Anche io, come tutti gli altri, mi innamoravo tre volte la settimana: solo che mi innamoravo dei maschi. Arrivai anche a pensare che, tutto sommato, essere finocchi aveva dei lati positivi: mi potevo gustare i compagni di classe che si spogliavano e si cambiavano durante le ore di ginnastica. Ben misere briciole, tutto sommato: ma ci si poteva accontentare.


In tutto questo marasma, la scuola era come sempre una parte centrale della mia esistenza. Avevo atteso l’inizio delle superiori con una certa ansia: mi sarei trovato in una classe composta soprattutto di ragazze, e pensavo che mi sarei trovato più a mio agio. Non so fare un bilancio dell’esperienza delle superiori. Ricordo però con un po’ di astio gli insulti alla mia sessualità. Da espliciti e volgarotti, in un mondo di intellettuali diventarono subdoli e striscianti, appena bisbigliati ma sempre presenti, pronti a sottolineare ogni cosa che facevo. Vivevo quasi nel terrore che un insegnante potesse anche solo sfiorare l’argomento, perché inevitabilmente sarebbe partita una serie incontrollata di risatine e di battute su di me. A volte si fermavano subito, altre andavano avanti anche per giorni: e, quando succedeva, era davvero estenuante. Marcello e Alberto, i miei compagni super etero e super maschi, si divertivano un mondo con me. Chissà, forse mi sarei divertito anche io a chiamare qualcuno “culamita” (una calamita per culattoni) o cose di questo tipo. Sì, forse mi sarei divertito davvero molto a deridere chi era in minoranza, chi era diverso, chi era più debole e indifeso; probabilmente l’ho fatto in altre situazioni, senza rendermene conto. Ogni mio comportamento che deviava anche impercettibilmente dalla normalità eterosessuale veniva sottolineato senza pietà e senza scampo. Marcello e Alberto, loro, si divertivano. Ma perché, cari compagni di classe, voi tutti, voi che non eravate né Marcello nè Alberto, voi che dicevate di stimarmi tanto, non avete mai alzato un dito per difendermi? Sì ero gay, e voi tutti l’avrete di certo immaginato: l’insieme non dava adito a sospetto. Perché mi avete lasciato torturare psicologicamente, perché anche voi avete continuato a ridere? E’ questo che non capisco.


L’università, invece, segnò il definitivo gradino della mia autonomia e autocoscienza. Per me, tutto fu da subito molto semplice. Ogni tanto ritrovo qualche vecchio compagno di corso che non vedevo da un po’. Dopo il rituale come va, come non va, cosa fai, che hai fatto, dov’eri finito, e allora la tesi, parte di solito la rievocazione del passato. E tutti, ma dico tutti, mi ricordano questa cosa: quando mi presentavo, dicevo sempre: “piacere, Matteo, presidente dell’arcilesbo di Treviso”. Non so da dove mi venisse fuori quell’espressione cretina, né dove trovassi il coraggio di dire una cosa del genere: forse davo già l’idea di una collocazione sessuale indefinita, mutevole, non classificabile. A tutt’oggi lo trovo un modo molto stupido, ma anche molto originale, di presentarsi. A


ll’università smisi molto presto di preoccuparmi per tutti quei piccoli atteggiamenti di frociaggine che sono il tormento di ogni gay non dichiarato. A fine lezione, mentre raccoglievo le mie cose, commentavo con un certo pathos e un tono di voce elevato l’ultima puntata di Dawson’s creek. Dichiaravo senza problemi che il prof tale era davvero da scopare. Mi muovevo e parlavo come mi andava di fare. Parlavo di libri e autori gay senza preoccuparmi. E più la finivo di nascondermi, meno diventavo evidente: le cose compresse e celate sono molto più visibili agli occhi. I miei compagni di corso si facevano di certo domande, ma se ne fregavano.


Nel periodo universitario maturò in me la consapevolezza di quel che ero, e finalmente parlai ai miei amici di me e delle mie preferenze sessuali (di solito invece ho sempre tralasciato le mie predilezioni sessuali: discutere di pompini con il tuo migliore amico può essere fonte di imbarazzo). Il primo coming out è per tutti un trauma: la scelta delle parole, del luogo, dei gesti, delle espressioni, delle formule, e soprattutto della persona a cui dirlo. Di solito si finisce tutti e due a piangere come vitelli: tu perché ti liberi da un peso, lui/lei perché si rende conto che è un grande dono quello che gli stai facendo. Poi, diventa tutto più facile e divertente. Comincia a scapparti, con chi meno te l’aspetti, perché non è che ci fai gran caso. La consideri una caratteristica accessoria, come il colore dei capelli o la squadra del cuore. In un certo senso, lo è. Nessuno si presenta mai dicendo: piacere, sono fabio, e sono etero e mi piacciono i maschi e non ho mai desiderato fare sesso con un uomo. Sì, sono gay: ma non vuol dire che sia un maniaco o un folle o che ne so io. E’ semplicemente una parte di me. Tutto qui.


Mi vedo e mi sento diverso, cioè mi trovo cresciuto. Non so dire né come né quando è avvenuto, però la coscienza di me e il modo di percepire la realtà che mi circonda è notevolmente cambiato, rispetto a quando ero adolescente. E credo sia più che naturale: solo che non speravo più succedesse. Una volta, se mi trovavo in mezzo ad una discussione dai toni omofonici, sarei di certo arrossito, sarei stato zitto per paura, mi sarei eclissato perché nessuno potesse percepire la più minima reazione nelle mie espressioni. Oggi, invece, intervengo, magari anche in modo sfumato; e, se sto zitto, sorrido di questa beata ignoranza. Non mi metto in gioco perché tante volte non ne vale neppure la pena, però un po’ mi arrabbio con me stesso: quand’è che noi omosessuali alzeremo finalmente la testa? Stare zitti quando la gente dice emerite cazzate sul nostro conto è come acconsentire a quello che queste persone dicono. Se voglio che questo mondo mi accetti, se voglio dare la possibilità alle generazioni future di non aver bisogno di nessuna accettazione, perché tutto sarà implicitamente normale: beh, allora mi devo dare da fare pure io. Nel mio piccolo, si intende. Ma mi va di farlo.
 
La mia vita di certo non è arrivata ad un punto fermo. Dopo aver scritto tutto questo, mi chiedo: cosa resta di quel dolore? Probabilmente resta la mia crescita, il lungo cammino che ho fatto e che mi sento di poter intravedere come una crescita reale.

Anche se tutto è ancora così incredibilmente incerto nella mia storia personale, finalmente posso dirlo: sto bene. Eccomi qua, tanta strada e tanta fatica per dire: ehi, va tutto bene. Sembrava impossibile, sembrava che non ce l’avrei fatta. Ma sono sopravvissuto a tutto e ora sono sereno. Continuano a capitarne di tutti i colori, ma so accettare quello che viene: va bene così.
| Voti: 55
di Batman da Vi
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Un gay è una persona che passa molto tempo della sua vita a chiedersi se la persona seduta a fianco è gay.
| Voti: 14
di STE
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Orientarsi nel complesso mondo dei gay non è semplice. Ecco allora un pratico vademecum per poterli catalogare a colpo d'occhio.
Rainbow list
Finocchio: è il gay standard. Ama i maschi, ma nient’altro lo differenzia da un maschio etero. Tutt’al più lo denunciano le sopracciglia curate, un particolare gusto nel vestire e l’amore incontrollato per i telefilm di Batman e Robin.  
Gay impegnato: è l’omosessuale che si batte per la causa GLBT, al grido di “un gay va sempre a sinistra!”. Intellettuale, colto, laico, il gay impegnato non può fare a meno di far sapere al mondo che va a letto con gli uomini. Può, per esempio, girare con una vistosa pin recante il simbolo della falce e rossetto. Lo si riconosce perché usa una limetta per le unghie come segnalibro. Sostiene la superiorità della razza gay e programma movimenti di sovversione dell’ordine costituito.

Gay repubblicano: è il gay impegnato politicamente che vota solo partiti di centro destra, ossia partiti che lo denigrano. Per questo non è molto propenso a far sapere agli amici che ama il pisello. Il gay repubblicano è la cosa più inconcepibile, dopo le tette e la passera, per un gay impegnato.

Orso:  l'orso è una sottospecie composta da individui in carne e pelosi. Di solito si ritrovano fra loro e fanno persino i raduni. L'orso va molto d'accordo con le camioniste perchè è un uomo a cui, per uno strano caso della genetica o del destino, piacciono gli uomini. Ma è più che fiero della sua pelosa e tanta mascolinità.

Passiva: la passiva è il gay che fa dell’atto di scheccare la sua ontologia nonché la sua deontologia professionale.

Shampista: chi fa solo azioni che terminano in -are. Le shampiste sono tutti quei ragazzini che vanno in discoteca solo per rimorchiare e che hanno il Q. I. di un cubetto di lievito. Esistono anche stampiste femmine, ovviamente: e quindi ogni tanto anche loro fanno un raduno, tutti assieme.
| Voti: 12
di franz84 da trento
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Ciao!

Dunque dunque, io non credo che ci possa essere una unica definizione di gay, perchè per fortuna sulla terra siamo tutti diversi, e quindi per ognuno di noi esiste una definizione ben dettagliata e unica...anche se sono pienamente d'accordo sul fatto che siamo tutti sulla stessa barca in fatto di "fatica" nell'accettare, e affrontare la cosa...sia dentro di noi che nel mondo esterno....

Ora di conseguenza proverò a dare una spiegazione di quel che vuol dire per me. Non ho mai capito se il mio essere musicista abbia determinato il mio essere così sensibile, e quindi gay, o se al contrario il mio esser gay mi abbia fatto sentire la musica così nel profondo... Fa niente... tanto comunque mi sento un artista (senza voler essere megalomane... è solo quello che sento dentro..), e so di essere gay...e quindi non mi è possibile scappare da nessuna delle 2 cose...siano esse collegate, l'una causa dell'altra o meno... ;)

Quello comunque che ne risulta è che questo bagaglio interiore che mi sono ritrovato appioppato (...come qualcun'altro giustamente ha detto: "ma una sfiga peggiore no??"...) io lo identifico con la scelta di una parola sola... (magari un po' banale non siate spietati.. ) e questà è Ipersensibilità, o anche chiamata Ciclotimia per gli "artisti romantici"(nel senso del movimento artistico eh..).

Cosa che a mio avviso è un'arma a doppio taglio, perchè da un lato è ciò che ci rende unici e speciali, ma dall'altro è ciò che ci fa soffrire più degli altri...
| Voti: 5
di vivytranky da roma
Pubblicato il
uomo ke ama gli uomini e ke adora le donne, ke nn fa del male a nessuno, ma è discriminato da ki sessualmente confuso o da ki x sua ignoranza lo definisce: malato mentale, sessualmente contagioso, pervertito, ecc...
per quanto riguarda il "COSTUME" e gli "ATTEGGIAMENTI", sono solo 1 modo per contraddistiguersi dalla massa, come negli adolescenti l'essere "emo" o "truzzi", x i gay c sn "BEAR", "MUSCLE", "CHUB", ecc., è tt 1 questione d immagine estetica...
| Voti: 0
di Fra '81 da San Bonifacio
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Esteta che non ragiona per generi ma per bellezze.
| Voti: -2
di reanthony da catania
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Gay è:
1 colui che quando si alza la mattina c'è l'ha duro perchè ha sognato brad pitt

2colui che ha come migliori amici la parrucchiera Jennifer il fondotinta e il copriocchiaie

3colui che ogni week-end va a caccia di uccelli in discoteca anzichè in campagna

4 colui che associa un bel aspetto curato all'intelligenza al gusto estetico nonchè un completo di Gucci

VI SONO DIVERSE CATEGORIE DI GAY
(l'elenco fa espressamente riferimento alle tipologie siciliane!!!)

A)Masculu: gay molto maschile, in genere il più corteggiato della disco

B)Passiva/Puppa totale/Fimmina etero/Raffaella Carrà: gay passivo molto effemminato.

C)Lavannara: gay sguaiato e volgare

D)Shampista: gay pettegolo e molto ignorante

F)Ballerina: gay innamorato di Maria de Filippi, che sogna di diventare Rossella Brescia

ECC....
| Voti: -3

Figate collegate